30Nov2014

Paolo Landi, Energia: “Siamo alla vigilia di una rivoluzione”

Ormai è chiaro, il futuro dell’umanità si gioca sul campo dell’energia. Le relazioni tra le nazioni, certo, le guerre per il controllo delle risorse, ma anche lo sviluppo delle imprese e la spesa delle famiglie. Considerando la scarsa disponibilità di materie prime e l’inquinamento a livello globale, per molti questo campo dovrebbe essere verde, con le rinnovabili a rappresentare la panacea di tutti i mali del pianeta. Vista l’attualità e la centralità del problema energetico, e alla luce della revisione trimestrale da parte dell’Autorità per l’Energia (dal 1 ottobre al 31 dicembre famiglie e piccole imprese pagheranno tariffe più alte; + 1,7% per l’elettricità e + 5,4% per il gas, rispetto al trimestre precedente), abbiamo deciso di affrontarlo a 360 gradi. Dall’analisi del mercato libero alle prospettive per il nostro Paese, dalla questione delle rinnovabili ai costi delle bollette, dal cattivo uso degli incentivi alla pubblicità ingannevole, alle possibili soluzioni per tornare competitivi a livello europeo. Infine, abbiamo voluto scattare una panoramica del consumerismo italiano così come si presenta oggi. Per farlo, ci siamo avvalsi della competenza di uno dei massimi esperti del settore: Paolo Landi, ex Segretario Generale e fondatore di Adiconsum, ex Segretario Nazionale del sindacato CISL dei Tessili Roma, oggi Presidente di FCS – Fondazione Consumo Sostenibile, e componente del gruppo di lavoro dell’Unione Europea sull’energia.

L’intervista integrale a Paolo Landi

MERCATO LIBERO VS MAGGIOR TUTELA

Alla luce delle criticità che sempre più italiani mettono in evidenza, sia nel servizio sia nella spesa, come considera il mercato libero? Il mercato protetto può essere ancora un porto se non economico almeno sicuro?

«La maggior parte delle famiglie è posizionata ancora sul mercato vincolato. Il mercato libero è efficace per medie e grandi imprese, che hanno la possibilità di monitorare in continuazione le tariffe e quindi essere aggiornate e cambiare. Nel mercato retail, quello delle famiglie, invece, il consumatore subisce un’informazione ingannevole, sia dagli agenti telefonici sia da chi si presenta nelle case per presentare migliori tariffe. Purtroppo non dicono che si tratta di riduzioni promozionali, che durano brevi periodi, spesso pochi mesi, dopodiché scattano gli aumenti».

Secondo lei, qual è la maggiore difficoltà per il consumatore di orientarsi nel mercato dell’energia?

«Sicuramente il non riuscire a comparare le tariffe, che sono troppe e di difficile lettura. Un altro grande problema è proprio la lettura della bolletta, che è complicata e va semplificata per consentire, oltre la comparazione con altre tariffe concorrenti, anche il confronto con i propri consumi di mesi e anni precedenti. In realtà si riescono a trovare bollette molto chiare e semplici dove si è in grado di capire, ma questo dipende dalle imprese. C’è un impegno dell’Autorità dell’Energia di renderle più leggibili. Anche per quanto riguarda la pubblicità ingannevole esiste una precisa responsabilità delle imprese, che spesso non si comportano correttamente. Per esempio, quando mi fanno delle proposte promozionali per telefono, io rispondo: “Perché essendo già vostro cliente dovrei cambiare tariffa, quando in questo modo l’azienda ci rimette”? Nessuno ha saputo ancora darmi una risposta».

Quindi, possiamo consigliare alle famiglie di restare sul mercato vincolato?

«Io sono ancora con il servizio di maggior tutela».

 

ENERGIE RINNOVABILI

Quali sono le prospettive per il mercato energetico nazionale? Eolico, idroelettrico, solare riusciranno mai (e a quali costi) a liberarci dai combustibili fossili?

«Le rinnovabili godono di un incentivo che pesa attorno al 20% del costo della bolletta, ed è a carico di ogni singolo consumatore. Occorre anche dire che non sempre si ha disponibilità di energie rinnovabili: quando non ci sono vento e sole sufficienti, bisogna affidarsi alle centrali storiche e pagarle per fare da ruota di scorta. Inoltre, un terzo del contributo lo paghiamo per le centrali ferme e per quelle a rischio chiusura. Dalle rinnovabili otteniamo circa il 30% dell’energia prodotta (di cui il 10% dal vecchio idrico), mentre l’Europa ci chiede di arrivare al 40%. Ilparadosso è che c’è un forte calo della domanda, a causa della chiusura di molte aziende per la crisi; abbiamo gli impianti tradizionali sotto-utilizzati del 20%, assistiamo al calo dei consumi delle famiglie, e invece stiamo andando verso un aumento della produzione».

Nel resto d’Europa, come si stanno comportando gli altri Paesi?

«Prendiamo ad esempio la Germania. Lì si discute da anni di come aumentare la domanda di energia elettrica da utilizzare nel campo della mobilità. I tedeschi stanno facendo investimenti colossali sul trasporto elettrico, in particolare nel mercato di auto e motoveicoli, con l’obiettivo di creare 1 milioni di posti di lavoro. In Italia non se ne parla. Il settore auto non ha fatto ricerca, quello delle moto neanche».

 

INCENTIVI

«L’Europa ha già stanziato 7 miliardi di euro per il “trasporto verde” e, come al solito, l’Italia non riuscirà a spenderli. Pensate che quando ci sono stati i contributi europei per le rinnovabili, noi abbiamo comprato i pannelli fotovoltaici in Germania ed in Cina perché qui nessuno li produceva. Un altro esempio? Con il sistema della rottamazione, lo Stato ha dato 1.000 euro per rottamare un autoveicolo. Una vera follia, per due motivi: abbiamo incentivato le case automobilistiche straniere, (regalandogli denari pubblici, n.d.r.); è stato offerto un contributo per continuare sul vecchio modello».

Quale potrebbe essere secondo lei la soluzione?

«Mettiamoci subito al lavoro per fare moto e ciclomotori elettrici, altrimenti dovremo andare a comprarli in Cina. Le racconto un aneddoto. Questa estate mi trovavo alla Festa del PD a Bologna e ho visto uno stand con delle biciclette elettriche, tutte importate dalla Cina. Ebbene, il Comune di Bologna dava 500 euro di contributo per acquistarle. Questo Paese deve svegliarsi e adottare progetti a medio-lungo termine. Dobbiamo raggiungere il 40% di rinnovabili e abbiamo una capacità di energia elettrica sotto-utilizzata, che rischia di tramutarsi in cassa integrazione.  Dobbiamo investire sulla mobilità elettrica e rivedere il sistema degli incentivi. Gli incentivi vanno dati per abbattere il costo delle assicurazioni, per l’esenzione dal bollo, l’ingresso nelle Ztl. In Francia hanno stanziato gli incentivi per la ricerca…».

 

CARO BOLLETTE

All’orizzonte ci sono speranze di bollette più leggere per gli Italiani?

«Innanzitutto bisogna comprendere quali sono i costi dell’energia: costo di produzione, costo di trasporto sulle reti, e tasse. Ora sta partendo la cosiddetta “microgenerazione”, ovvero la possibilità che un comune, un’impresa, un condominio o una singola abitazione si stacchi dalla rete. L’opportunità è offerta dallo sfruttamento di energie rinnovabili attraverso la costruzione di piccole centrali autonome che, al bisogno, si possono integrare con centraline a gas o a gasolio. È un processo che sta prendendo il via a livello europeo, ma da noi non se ne discute. Se dovessero staccarsi il 20% delle utenze, il costo della rete per chi rimane aumenta. Dobbiamo darci un progetto. Attualmente, tutti gli elementi che abbiamo sul tavolo indicano che il costo della bolletta rischia di essere più elevato, per i motivi che ho appena detto (costo delle rinnovabili, utilizzo delle centrali scorta, e delle centrali in uso, mancanza di progettualità, etc.)».

Insomma, non mi sembra che sia ottimista…

«Chi parla di riduzione dei costi, oggi, racconta balle. Spendiamo male montagne di risorse per tamponare i problemi. Non va perso altro tempo, bisogna iniziare ad agire subito per dare risposte di prospettiva che ora non ci sono. Partiamo con l’incrementare la domanda attraverso il trasporto elettrico. Il prossimo 20 novembre partecipiamo ad un convegno a Milano con il Presidente dell’Autorità per l’Energia e il responsabile energia del PD, dove porteremo queste proposte».

 

DISTRIBUTORI ELETTRICI

«Le centraline per la ricarica dei mezzi elettrici devono essere installate in strada da un unico ente. In Francia se ne è incaricato il Governo. In Italia abbiamo assistito già al caos nella telefonia, dove i ponti radio fatti da più soggetti hanno lasciato scoperte diverse aree del Paese. Il progetto di distribuzione sul territorio deve essere nazionale; ci deve essere un progetto politico per non buttare le risorse dalla finestra, per non disperdere i fondi europei e arrivare ultimi come al solito. Siamo alla vigilia di una rivoluzione nel campo dell’energia che potrebbe creare molti posti di lavoro: dobbiamo approfittarne e non sprecare risorse».

 

EFFICIENZA ENERGETICA

«Va bene il mercato libero, ma l’Autorità di Vigilanza deve fare il proprio mestiere e sanzionare i comportamenti scorretti. Efficienza energetica significa sfruttare l’innovazione tecnologica per consumare meno energia, avendo garantiti gli stessi servizi. Sul fronte del riscaldamento degli ambienti, ad esempio, si riesce a risparmiare fino al 20/30% evitando la dispersione di calore con caldaie di ultima generazione, con i doppi infissi, sostituendo gli impianti centralizzati che generano un surplus di calore e costringono le persone a lasciare le finestre aperte con i termosifoni accesi».

 

PROPOSTE

«Bisogna necessariamente spostare l’attenzione sul trasporto elettrico. Se ne ricaverebbe un vantaggio economico, occupazionale, oltre ad incrementare la disponibilità energetica del Paese. In Italia le centrali funzionano a regime ridotto perché non c’è domanda e allo stesso tempo c’è l’obbligo dell’utilizzo di energie rinnovabili».

 

CONSUMERISMO

È stato molto chiaro, ora cambiamo capitolo. Essendo stato uno dei padri del consumerismo italiano (il nostro Presidente Fabrizio Premuti la indica come suo maestro ed ispiratore), come vede il movimento dei consumatori a distanza di quasi 5 anni dal saluto ad Adiconsum? È ancora utile?

«C’è un grosso calo del ruolo del consumerismo in Italia. Da un lato per effetto della crisi economica. Dall’altro, e più importante, il movimento deve fare mea culpa. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una gara a chi la sparava più grossa, con l’unico intento di finire sui giornali. Una scelta scellerata che ha creato un consumerismo di immagine, con la conseguenza di una grande crisi di credibilità. Questa assenza di credibilità ora si paga nei confronti dell’Europa: dove prima le questioni dei consumatori erano prioritarie nelle politiche della Commissione, negli ultimi dieci anni non lo sono più. Adesso l’attenzione europea è rivolta solamente al mercato e al commercio, mentre le norme a tutela del consumatore sono relegate a generiche raccomandazioni. Al medesimo tempo la crisi di credibilità ha inficiato il rapporto privilegiato che le associazioni avevano nei confronti delle imprese, le quali non riscontrano più nella controparte professionalità qualificate».

È possibile recuperare questo gap?

«Non sarà facile. Quali sono le priorità, la vendita di prodotti o l’offerta di servizi? Nel campo della salute, per esempio. Servono professionalità capaci di elaborare proposte serie, concrete e qualificate. La crisi ha tagliato tante risorse, occorre rispondere valorizzando le abilità e le competenze specifiche nel proprio settore di pertinenza».

Come giudica l’attuale sistema di rappresentazione delle associazioni?

«20 associazioni sono troppe. E’ improponibile presentare delle proposte che trovino un consenso all’interno del CNCU (il Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti, presieduto dal Ministro dello Sviluppo Economico, è l’organo rappresentativo a livello nazionale delle associazioni dei consumatori; n.d.r.), ognuno dice il contrario dell’altro. E’ indispensabile superare questa struttura: un numero significativo di associazioni dovrebbe dire: “A noi il CNCU non interessa”, poi federarsi in un gruppo che abbia opinioni e proposte condivise da portare sul tavolo del Ministero. Altrimenti è un gran casino e basta. Oggi stare nel CNCU è impossibile, era già difficile quando c’ero io. Hanno sciolto il CNEL, quanto tempo pensano che debba passare prima che il Governo sciolga anche il CNCU? Bisogna recuperare credibilità, sia in immagine che con gli interlocutori (Europa, Governo, imprese e consumatori), fare un esame impietoso degli strumenti e delle risorse a disposizione, e poi ripartire. Basta restare ancorati agli schemi e alle logiche del passato, illudersi che la situazione sia ancora quella di ieri. Cambiamo il sistema, anche dei finanziamenti. Guardiamo al modello europeo e mettiamo a bando i progetti assegnando i fondi a quelli vincenti».

Considerando il quadro negativo che ci ha descritto, cosa si sente di consigliare ad un’associazione giovane come Konsumer Italia?

«La specializzazione in un determinato settore. Se avete delle competenze specifiche, mantenetele e valorizzatele. Non serve a niente buttarsi su tutto a 360 gradi, quando non si hanno le professionalità adatte: se un interlocutore si trova di fronte una persona competente è una cosa, se improvvisi e non sei in grado di tenere testa alla controparte non sei più credibile».

 

CURIOSITA’

Infine, una curiosità: come mai si è interrotto in maniera definitiva il suo rapporto con Adiconsum?

«E’ stata Adiconsum che ha rotto i rapporti con me. Il mio progetto consisteva nell’andare in pensione e poi creare una sinergia tra la mia Fondazione e l’Associazione, questi invece hanno posto la questione in termini alternativi. La scelta di andarmene è stata mia, non è stato possibile collaborare con loro e così sono andato avanti con altri enti. Certo, viste le politiche che stanno perseguendo da qualche tempo, in caso di ripensamento avrei risposto di no».

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Andrea Scandura