29Apr2015

Perché le società di distribuzione di energia non conoscono né compliance né etica?

Il prof. Romeo Ciminello: “In Italia non ci sono state liberalizzazioni ma privatizzazioni, un furto legalizzato alle spalle dei cittadini contribuenti e consumatori”


 Il mondo della distribuzione dell’energia, che si tratti di gas, energia elettrica o petrolio non fa alcuna differenza. Ognuna delle società distributrici cerca di sfruttare al massimo gli spazi di commercializzazione esistenti per trarre, nell’ambito compiacente del capitalismo di sottrazione, il proprio maggior profitto.
Queste Società pare non abbiano il benché minimo rispetto del proprio utente e tanto meno la cognizione del giusto prezzo. Una volta c’erano le sette sorelle del petrolio, ma la benzina costava il medesimo prezzo in tutto il Paese. Una volta c’era un distributore del gas che praticava a tutti le stesse tariffe. Una volta esisteva un produttore che fungeva anche da distributore di energia elettrica e si chiamava Enel.

Oggi perché è cambiato tutto? Perché esistono distributori diversi e prezzi diversi la cui unica caratteristica comune è quella di non essere assolutamente trasparenti? Perché in tutti i settori citati possiamo tristemente dire “si stava meglio quando si stava peggio”? Certamente potrebbe apparire un controsenso, ma se approfondiamo un attimo vediamo che non lo è. Il tutto è nato dall’idea del mercato. Dall’idea della libera concorrenza capace di mitigare i prezzi. Purtroppo ci stiamo accorgendo che si tratta solo di una mera illusione e che innanzitutto, dato che il libero mercato non esiste se non nella percezione teorica degli economisti, tale libertà di mercato che permette la concorrenza diviene, per contro, lo strumento per creare monopoli nascosti oppure oligopoli collusivi. Invece di calmierare i prezzi, si permette ai concorrenti una maggiore tranquillità di evitare il gioco al massacro consentendo a tutti, così, di ottenere il massimo profitto possibile in regime di “pretesa” concorrenza, grazie a una logica che viene ben spiegata dalla “teoria dei giochi”.

A farne le spese è sempre il consumatore. L’utente dei servizi che da pubblici sono stati privatizzati, paradossalmente, per dargli maggiore convenienza. In realtà la mancanza di trasparenza da un lato e l’ignavia del consumatore dall’altro fanno sì che le tasche dei distributori si rimpinguino; salvo poi pagare, laddove se proprio necessario, il risarcimento frutto di qualche “giusto reclamo” intentato dal consumatore che, rendendosi conto della situazione di “turlupinaggio” generalizzato (per non dire “pseudo-legalizzato”), si ribella all’andazzo. Certo però che la penuria di questi reclami rafforza sempre di più la posizione di privilegio di tali società distributrici di energia.

Ma senza dilungarci sulle stranezze di questo capitalismo di sottrazione, in cui la concorrenza dei diversi distributori dovrebbe garantirci i migliori prezzi a parità di qualità, o viceversa a parità di prezzo la migliore qualità, devo sottolineare che siamo sempre più raggirati, senza tra l’altro poter far nulla. Perché? Perché questa situazione è voluta dall’alto, dal sistema politico, anzi dalla politica della concorrenza dettata ormai dalla certezza che “tanto esiste un garante”! Non voglio sembrare sarcastico, ma credo che la politica di concorrenza della nostra “Italietta imbelle e pacifista” sia uno specchietto per allodole, le quali poi si lasciano prendere incautamente dal cacciatore di turno.

Allora che fare? Procediamo con ordine. Il primo assunto da fissare nella nostra mente è il fatto che non esistono più “servizi pubblici”, vale a dire che non esistono più tariffe che equilibravano i costi sostenuti dall’utente perché la solidarietà fiscale permetteva di redistribuire le risorse, permettendo a ciascun cittadino di fruire di un servizio in regime di “relativa parità di costo”. Il secondo assunto è che la liberalizzazione dei servizi, almeno come la intenderei io, avrebbe dovuto essere un incentivo ai privati di fare concorrenza ad un servizio pubblico, assumendone alcune specificità, per stimolarne il miglioramento. Si penserebbe infatti che se lo Stato spreca nella erogazione del servizio, l’attenta gestione di un’impresa che eroghi lo stesso servizio o anche solo una parte di esso, sia di incentivo a migliorare il risultato. Si pensi per esempio all’erogazione di energia elettrica, o del gas, o dell’acqua: il contributo nella razionalizzazione che un’impresa non pubblica avrebbe potuto dare in termini di risparmio sui costi di gestione sarebbe stata di incentivo all’abbassamento ulteriore delle tariffe praticate, e quindi anche ad una minor sovvenzione delle stesse attraverso il fisco. Con un doppio risultato utile: da una parte un servizio migliore e dall’altra un abbassamento delle imposte! In breve, l’economia di mercato avrebbe imposto alle imprese una ottimizzazione dei costi per cui le tariffe del servizio pubblico si sarebbero dovute abbassare.

Non solo nulla di tutto ciò è accaduto, ma invece delle liberalizzazioni sono state introdotte unicamente le cosiddette “privatizzazioni”; vale a dire un “furto legalizzato” alle spalle dei cittadini come contribuenti e come consumatori. Ma perché? Semplicemente perché tutte le privatizzazioni finora effettuate sono state in primo luogo una dismissione delle ricche proprietà dello Stato, “regalate” agli amici dei politici che le hanno promosse. In secondo luogo, una lenta e progressiva diminuzione della qualità del servizio. In terzo luogo, una doppia imposizione in termini di costi “liberalizzati”di fruizione e di aumento di imposte, tasse e contributi a tutti i livelli: Stato, Regione, Provincia, Comune, ecc.

Scusandomi per la lunghezza di questo cappello introduttivo e teorico, ciò che reputo essenziale nel discorso è la formazione di un senso critico del cittadino consumatore; la formazione di una coscienza avvertita sui fatti che lo coinvolgono, ed infine la formazione di una volontà di reagire nei dovuti modi e nelle dovute forme a questo “sfacelo di Stato,” che purtroppo l’ignavia del consumatore disattento sta pian pianino promovendo. Le situazioni sono divenute così evidenti che non c’è più bisogno di “Report” per rendersi conto delle truffe operate da banche, assicurazioni, società di trasporto, società di erogazione dei servizi di energia, di autostrade di acqua, ecc.

Prendiamo come esempio emblematico il problema derivante dai costi del servizio di erogazione dell’energia, dalla pletora di società che lo effettuano e dai costi esorbitanti che siamo ormai avvezzi a pagare in bolletta. Ma come mai queste aziende, che aumentano di giorno in giorno, ci fanno uno “stalking” telefonico, domiciliare e personale per venirci a convincere che la loro società è la migliore, che le loro tariffe sono le migliori, che i loro contratti sono migliorativi per il futuro dell’erogazione? Nessuna di esse mette però in evidenza che i prezzi praticati saranno tenuti fissi, che la trasparenza delle bollette sarà la linea strategica del rapporto, che la lettura dei contatori non avviene automaticamente (anche se la spacciano per essere tale) ma che avverrà in maniera regolare attraverso i propri addetti o attraverso una procedura elementare di lettura e trasmissione della stessa.

Perché non si impegnano a fare in modo che la garanzia contrattuale sia rispettata, anche attraverso l’accettazione dell’apertura di uno sportello dedicato all’utente e la costituzione di una commissione paritetica di valutazione? Infine, sarebbe auspicabile l’istituzione di un fondo di garanzia che rifonda l’utente danneggiato in caso di danni o maggiorazioni di prezzo non definiti consoni al sottostante contratto. Tutto ciò però deve essere sancito in maniera “non contrattuale” bensì “reputazionale”, e quindi attraverso la sottoscrizione di un contratto di cui deve far parte integrante il “codice etico” di riferimento, in cui vengano previste le sanzioni “di censura sociale” che l’impresa è disposta ad accettare in caso di ingiustificate “cattive pratiche” o pratiche lesive dei diritti dei cittadini consumatori.

Ciò che sto dicendo non è una chiacchiera. Infatti per zittire i vostri interlocutori “venditori di servizi”, sia che vi chiamino al telefono sia che vi bussino alla porta, dovete chiedere prima di tutto se l’impresa ha un codice etico, e poi se loro ne sono a conoscenza. Solo se vi rispondono sì (ad entrambe le domande) sarete disposti a procedere... State certi che non accadrà... Lo so per esperienza personale. Anzi, per dimostrare che sono nel vero, posso dire che qualche tempo fa sono stato avvicinato prima telefonicamente e poi su sollecitazione attraverso un’intervista personale, da una società estera distributrice di energia elettrica in Italia. Tale distributrice di nazionalità svizzera (la AXPO), che vanta una lealtà di rapporti proprio perché tale, si era impegnata ad inviarmi il suo “codice etico” ovviamente autoreferenziale. Pertanto abbiamo proceduto ad una revisione “corretta” del Codice per permettere loro di poter diffondere uno strumento con maggiore forza reputazionale, ma anche nella speranza che la collaborazione con Axpo (se fossimo riusciti nell’intento) avrebbe permesso di attuare il modello di compliance, ancora oggi mancante in Europa, che sarebbe stata una vera best practice.

Così dopo un’attenta disamina ed una puntuale rivisitazione di alcuni punti, in qualità di Presidente del Comitato di Promozione Etica Onlus e anche a nome di Konsumer Italia, concordandole con il nostro Presidente Fabrizio Premuti ho inviato le indicazioni per integrare il suddetto codice in maniera coerente, con la sottostante e-mail che riporto fedelmente:


“Egregio Direttore nel ringraziarla per la sua squisita disponibilità le esprimo i profondi sensi della mia stima e le sottolineo che la sua immagine professionale mi ha caratterizzato quella della società per cui sta lavorando.
In tale contesto sono certo che si potrà operare in un clima di collaborazione attiva anche con la Konsumer Italia che ho messo in copia.
Prima di inviarle il codice rivisto le dico sommariamente i punti che riguardano le condizioni che permetteranno, una volta approfonditi e concordati, una fattiva collaborazione:
1) Rispetto delle regole del Codice del Consumo, sia in termini di regole precise che di fonti energetiche;
2) Procedura di conciliazione e relativo sportello;
3) Certificazione etica con il Comitato di Promozione Etica Onlus - esterno;
4) Un tavolo permanente di confronto con i consumatori;
5) Gruppi di acquisto e possibilità di tariffe agevolate;
6) Continuità di erogazione (fondo di investimento comune - garanzia bilaterale 1 centesimo + 1 centesimo – consumatore + fornitore);
Se ritiene che i punti suddetti possono costituire elemento di apertura di un rapporto collaborativo nel senso precisato, non solo su Roma ma in tutta l’Italia con pubblicità comparativa in quanto azienda certificata etica e visibilità sul nostro sito (www.certificazionetica.org) e sul sito della Konsumer Italia (www.konsumer.it), resto in attesa di un suo cenno di riscontro con allegato lo statuto della AXPO a cui collegare le variazioni del codice etico e la disponibilità a fissare un primo incontro con il responsabile societario.
Cordiali saluti

La risposta?? Ancora stiamo aspettando…

Prof. Romeo Ciminello
Presidente del Comitato di Promozione Etica Onlus